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CONTROTEMPO di Enza Silvestrini: l’uomo e la sua vocazione al rogo


Il 13 aprile al Blu di Prussia di Napoli ho assistito alla presentazione della raccolta di poesie Controtempo (Oèdipus, pp. 72, € 11) di Enza Silvestrini, scrittrice e poetessa napoletana. A presentare il libro, oltre alla Silvestrini, c'erano il critico e poeta Luigi Trucillo e la scrittrice e regista teatrale Wanda Marasco. È stato un pomeriggio davvero piacevole, non solo per il clima di serenità e cultura che si respirava, ma anche perché è stato decisivo per me come lettrice.

Io non sono mai stata un'amante della poesia: subisco in pieno il fascino del romanzo, il genere letterario popolare per eccellenza. Ciò che più mi attira della dimensione estetica del romanzo è la sua natura logica: ogni romanzo è riconducibile infatti ad un suo lògos narrativo, per quanto sperimentale e poco tradizionale esso sia. Questo lògos mi pone nella posizione e nelle condizioni di elaborare un'analisi chiara e precisa di ciò che sto leggendo. Per quanto sull'esperienza di lettura pesino le ambiguità determinate dalla distanza tra il lettore e lo scrittore, nelle storie dei romanzi posso insediarmi per introdurre il mio Io, che pure ne prescinde completamente. 

Con la poesia funziona in maniera completamente diversa. L'Io Poetico è prepotente, si nasconde nella musicalità delle parole, nelle scelte sintattiche, nella lunghezza dei versi, nella posizione degli aggettivi. Nulla è lasciato al caso, eppure questo non rende più facile la comprensione al lettore, che si ritrova a fare uno sforzo enorme non solo per dare un significato personale a ciò che è scritto, ma anche per indagare su chi lo ha scritto e perché. E così il lettore prova in tutti i modi a riportare ciò che legge e appartiene all'Io poetico a sé e alla propria esperienza, senza però mai riuscire a dire: "Ho capito!". C'è un sentimento nella poesia che non può essere domato; un elemento irrazionale che sfugge e rimane profondamente problematico.

L'ambiguità propria del romanzo nella poesia si amplifica fino a diventare oscurità e mistero.

Per tutti questi motivi alle poesie di Controtempo mi sono avvicinata con un po' di timore. Non ero sicura le avrei apprezzate come avrei dovuto, ma mi sbagliavo, perché leggerle è stato non solo bellissimo, ma anche edificante, e non tanto perché in esse siano distillati degli insegnamenti - la letteratura non deve insegnare alcunché - ma perché ho capito che se cerco bene e sono selettiva potrei nel tempo imparare ad amare la poesia tanto quanto amo il romanzo.


Enza Silvestrini

Controtempo è un'opera dinamica, tesa, vibrante, perché attraversata da dicotomie irrisolte. Essa è percorsa da ciò che Wanda Marasco ha giustamente definito vocazione al rogo. Nell'uomo c'è una tendenza al consumo bruciante, di sé e dell'altro: la memoria trattiene i ricordi, ma è così fragile che rischia di trasformarsi in un attimo nel suo opposto, in oblio. Se la memoria è ciò che resiste tenacemente alla perdita, l'oblio è ciò che nietzschianamente addomestica il dolore, impedendo al fuoco della vita di spegnersi:

si organizzano ronde
per tenere il fuoco vivo
ogni tanto dalla ronda
qualcuno scompare
e si procede veloci alla sostituzione
per impedire che il fuoco si spenga
bisogna senz'altro imparare a vivere
(Controtempo, p.33)  

Alla necessità di sopravvivere a ciò che è andato perduto e alla pretesa di pensarsi vivi in un universo di morti, si accompagna il fardello della consapevolezza della mortalità, della finitezza dell'individuo e della continuità indifferente della specie. Il dolore evocato è sempre e solo individuale; è la tragedia della perdita particolare quella più straziante, perché unica e irripetibile:

e forse la specie
non conosce il dolore 
(Ibidem, p.40) 

Ma in questo bisogno fisiologico e psicologico di sopravvivenza è contenuta una colpa, la colpa della confusione, della cancellazione dei dettagli, dello smarrimento nelle possibilità che l'esistenza inevitabilmente offre: gli invasori dei confini di cui parla la Silvestrini sono le distrazioni che allontanano l'uomo non solo dal suo dolore, ma anche e soprattutto dal ricordo di esso:

siamo cattivi custodi
e i confini già traboccano di invasori
pian piano il regno si infetta 
per cause indeterminate nascoste nei possibili
[...]
impercettibile qualcosa si deforma
(Ibidem, p. 54)

Alla sofferenza causata dall'assenza e dalla mancanza, si aggiunge l'atroce verità sulla vulnerabilità di tutto ciò che è umano. Anche da vivi si è dispersi, anche da vivi ci si riscopre parte di un nulla cosmico che non concede grazie. Il solo elemento che conferisce apparenza di unità è il nome, ma esso è quanto di più labile e instabile esista: basta sostituirlo, e il familiare si trasforma in ignoto.

Non c'è identità né essenza sotto la superficie delle cose.

Controtempo però non è l'opera di una voce pessimista, anzi. In ogni poesia, anche quella apparentemente più cupa, si intravede uno spiraglio di luce, la speranza di una redenzione, non tanto per chi non c'è più, quanto per chi è rimasto ed è costretto ad affrontare la perdita.
Qualcosa deve pur restare; un pezzo di chi si è amato deve pur poter essere trattenuto qui, presso questo presente così inaffidabile e inquieto:

ma qualcosa di te
dalle onde del fuoco sarà pure fuggito 
scomposto in milioni di particelle
infinitesime spettrali
vaganti tracce nel vento
che continua a crescere
a maturare in pioggia
[...]
forse ti respiro
ché infatti l'aria si incaglia
all'altezza della gola
in grumi inquieti e assetati di gioia
(Ibidem, pp. 45-46)

Questi sono versi tratti dalla mia poesia preferita in assoluto. Vi consiglio di procurarvi Controtempo anche solo per questa.

E intanto nella testa e nel cuore mi ripeto: forse ti respiro.  
                                       
       
Luigi Trucillo, Enza Silvestrini e Wanda Marasco alla presentazione di Controtempo 

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