Per inaugurare il blog con la prima vera e propria
recensione, non potevo che scegliere di iniziare da un libro assolutamente
grandioso quale The goldfinch di Donna Tartt, premio
Pulitzer 2014.
E' uno dei miei libri imprescindibili, un romanzo che ha
determinato in me - persona, donna e lettrice - una significativa cesura. Non
so se si tratti di un capolavoro, forse sì, forse no. Ma che importa definirlo
in qualche modo? E' un libro il cui valore letterario difficilmente potrebbe
essere messo in discussione.
The goldfinch, opera ambiziosa e di ampio respiro, è un romanzo di formazione con protagonista Theo, ragazzo difficile, spaventato, inquieto. Theo, reduce da un'esperienza tragica in seguito alla quale perde la madre, si ritrova negli anni successivi al dramma ad affrontare il vuoto - abissale e assolutamente interiore - che immediatamente ne consegue. Assolutamente interiore perché Theo non riuscirà a trovare la forza di affrontarlo dall'esterno. Non riuscirà, cioè, a continuare a vivere prescindendo da esso. Ed è proprio questo il punto, l'aspetto fondamentale ed essenziale del tormento di questo straordinario personaggio letterario.
I vuoti non si colmano, e questo può essere confermato da chiunque abbia subìto una perdita importante. E sì, dico subìto, perché dei dolori si rimane sempre vittime. Ma allo stesso modo può essere anche confermato che, per quanto complicato, lacerante e straziante sia, è necessario trovare un modo per andare avanti, con grande fatica, certo, ma anche con la lucida consapevolezza che, nonostante il male e l'ingiustizia della sofferenza privata, di vita da vivere ce n'è ancora, ed è questo ciò che più conta. Andare avanti non per cancellare o eliminare il dolore (magari fosse davvero possibile!), bensì per confinarlo, porlo ai margini. Dico così perché sono tra coloro che credono, anche piuttosto fermamente, che il dolore del lutto non possa essere mai elaborato, nemmeno dopo molto tempo.
Theo quindi, personaggio controverso dalla perenne coscienza sporca, è un anti-eroe dei nostri tempi. Un anti-eroe contemporaneo e nichilista in balia dell'affannoso desiderio di ricerca di palliativi, persone da amare e da cui essere amato, illusioni furtive in cui perdersi.
Per comprendere un personaggio di questo tipo è
determinante entrare in empatia con la parte iniziale del romanzo, nella quale
la Tartt si sofferma sul rapporto madre-figlio. Nelle primissime pagine si legge:
Le cose sarebbero andate per un verso migliore se lei fosse vissuta. Ma è morta quand'ero bambino; e benché la colpa di tutto ciò che è accaduto in seguito sia solo mia, perdere lei fu come perdere l'unico punto di riferimento in grado di guidarmi verso un luogo più felice, verso un'esistenza più ricca di legami e più congeniale. La sua morte ha segnato una linea di demarcazione tra il Prima e il Dopo. E benché sia deprimente ammetterlo dopo tutti questi anni, non ho più incontrato nessuno in grado di farmi sentire tanto amato. In sua compagnia ogni cosa prendeva vita; emanava una luce incantata, simile a quella che uno vede a teatro, e il mondo attraverso i suoi occhi acquistava colori più vividi.
Theo, come tutti i figli maschi, è legato alla figura
materna da una tensione erotica tale da portarlo a farne un modello di
perfezione femminile. E questo ideale lo accompagnerà, o meglio tormenterà, in
ogni momento importante o cruciale della sua vita. La madre come demone della
coscienza, insomma.
La cosa più interessante di Theo, l'elemento che me lo ha
fatto apprezzare nonostante il suo non essere affatto un modello umano di bontà
(d'altronde, cosa se ne fa la letteratura dei buoni sentimenti?), è che
l'esperienza del lutto non lo inaridisce affettivamente, anzi. Da ragazzo
prima, e da giovane uomo poi, Theo è capace di grandi passioni. Ama l'altro in
maniera così disperata da risultare quasi ingenuo. Tutto ciò nella
più tenera e commovente delle speranze, quella di riportare a nuova vita il suo
vecchio e per sempre perduto amore, l'amore della madre
e per la madre. L'unico vero grande amore della sua vita...
Qui di seguito il video in cui ne
parlo sul mio canale youtube:
Non vedo l'ora di leggerlo!
RispondiEliminaLa perdita a causa di un lutto è qualcosa di atroce, ma credo che si possa essere vittime di qualsiasi genere di perdita, se dolorosa per noi, a prescindere dalla morte.
Il problema è occludere quel vuoto che si viene a creare, può sembrare difficile, delle volte sbagliato, ma assolutamente necessario.
Bravissima ciccia <3 sei meravigliosa quando scrivi!
Sì, sono d'accordo con te: qualsiasi perdita si subisce, di qualsiasi perdita si resta vittime. La differenza del lutto sta nella certezza della sua irreversibilità...
RispondiEliminaSo che hai tutta l'intelligenza e la sensibilità per apprezzare queste tematiche! Grazie ❤