Il 2017 è partito magnificamente con una lettura tanto straordinaria e affascinante quanto amara e disperata. L'uomo che ride è uno dei grandi capolavori di Hugo, uno dei suoi ultimi titoli e anche, ahimè, uno dei meno conosciuti.
Si tratta di un classico - imprescindibile a mio avviso - dalle atmosfere cupe e inquietanti e dal sapore vagamente gotico, ambientato in un'Inghilterra difficile e dolorosa, contraddittoria e ingiusta, quella tristemente barocca di inizio '700.
Lo dico fin da subito: non recensirò questo libro nel tradizionale senso del termine. Mi è impossibile. Comprendere fino in fondo testi di questo tipo richiede una grande maturità, letteraria e non, e una consapevolezza di sé e del mondo che io al momento so di non possedere. Mi limiterò, in modo tra l'altro per nulla lineare, a parlarne in base a ciò che più mi ha colpita, in base cioè a quegli aspetti che come lettrice e persona mi hanno messa in discussione.
Il titolo, intrigante e seducente, rimanda al protagonista del romanzo, Gwynplaine. Gwynplaine è un carattere atipico. Sì, lo so, è una contraddizione in termini. Ora però mi spiego.
Il personaggio cui Hugo dà voce in questo romanzo è da una parte senza alcun dubbio un carattere, perché incarna l'eroe tragico greco che improvvisamente, e senza soluzione di continuità, si ritrova a combattere contro l'atrocità del destino - destino ingiusto feroce violento che gli si scaglia contro ingiustificatamente - dall'altra però, atipicamente appunto, a differenza dell'eroe della tragedia greca rifiuta con grande consapevolezza, invischiato com'è in questa lotta meschina, di rinunciare alla propria volontà. L'eroe greco, infatti, lotta sì contro questo fato crudele che lo vuole sconfitto, ma finisce poi, al termine dello scontro, per fondersi tristemente con esso, rinunciando così alla propria volontà di essere umano libero. L'eroe greco nega se stesso. Egli accetta, alla fine dei giochi, la propria infelicità. Ed è proprio in questa rassegnazione che riposa il suo eroismo.
Gwynplaine, invece, non nega se stesso. Riconoscendo l'importanza del proprio essere - che è un essere prima di tutto simbolico - esalta la propria volontà di rimanere fedele a se stesso nonostante lo strano e inaspettato destino di fronte al quale si verrà a trovare.
Due i personaggi di maggior rilievo di questo romanzo: Gwynplaine, per l'appunto, e la duchessa Josiane.
Gwynplaine è definito "l'uomo che ride" perché è condannato fin da bambino, a causa di una terribile mutilazione, ad un ghigno perpetuo. Il volto di Gwynplaine, stravolto da un'operazione irreversibile, è una maschera di allegria sotto cui si cela un'anima tragica e profonda. Sotto il deforme esteriore della carne si nasconde il sublime interiore dello spirito. Hugo dirà parole estremamente significative su Gwynplaine a tal proposito:
Essere comico fuori e tragico dentro: non c'è sofferenza più umiliante, né collera più profonda.
Il dramma di Gwynplaine sta tutto qui. Egli non riesce a comunicarsi agli altri nella sua grandezza. Il suo riso, riso infernale di Satana, lo condanna all'umiliazione, alla graffiante e maliziosa ilarità delle masse, al fraintendimento continuo da parte del prossimo. E se non si riesce a comunicare se stessi per quello che si sa davvero di essere, non si può nemmeno essere amati: perciò prima parlavo di Gwynplaine come di un simbolo. Il ghigno che occulta il volto di questo personaggio non è altro che la maschera che l'umanità tutta è condannata ad indossare dagli albori del mondo. Una maschera di festa e sfrenatezza, sotto la cui superficie si nasconde la tristezza della grande miseria. Ma il riso è anche qualcos'altro. E' una beffa. La beffa di Dio nei confronti della sua creazione.
Josiane, d'altro canto, è un personaggio femminile formidabile e sopra le righe, ma al contempo assolutamente universale. Essa, infatti, non è semplicemente una donna, ma La Donna. Josiane è, come dice Hugo con un'espressione splendida, l'Eva del baratro. E' bellissima e mostruosa, altera e perversa, superba e degenere. E' lo ctonio per eccellenza, geniale e brutale nei suoi enigmi di femmina. E' la donna che da argilla desidera ridiventare fango. Nel suo grandioso monologo afferma:
Mescolare l'alto col basso è il caos, e il caos mi piace. Tutto inizia e finisce col caos. E che cos'è il caos? Un'immensa sozzura. E, con questa sozzura, Dio ha fatto la luce e, con questa fogna, Dio ha fatto il mondo. Tu non sai fino a che punto io sia perversa. Metti un astro nel fango, quella sono io.
Serve forse altro, dopo questa citazione, per convincervi a leggerlo?
No Fede, non serve altro. Sei stata convincente al massimo. Ho ancora più voglia di leggerlo, dopo aver letto il tuo post. Un bacio amica mia.
RispondiEliminaBellissima recensione Federica. Per me questo romanzo è stato la porta per ritornare ai classici. L'ho amato in ogni pagina.
RispondiEliminaCiao Eni <3 Scusami ho letto solo ora il tuo commento! Un romanzo grandioso questo di Hugo! :D
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