Ferito a morte di La Capria è un romanzo difficile, un testo narrativamente complesso e stratificato che mette in discussione il lettore nella sua capacità di leggere tra le righe, nella sua attitudine a cogliere la forza semantica del Simbolo, rimando e allusione dal sapore mitico a una realtà meno profonda ma più conosciuta, più tangibile.
Eppure questo libro di La Capria, Premio Strega 1961, racchiude una storia che per quanto articolata riesce ad appartenere proprio a tutti. Che piaccia o meno questo libro non lascia indifferenti, esercitando al contrario uno strano incantamento sul lettore che, affascinato, rimane vittima dell'impossibilità di coglierne il senso, di figurarsi l'intreccio narrativo per intero nella propria mente, di trarre un significato ultimo che gli permetta di tirare un respiro di sollievo, di dire la parola definitiva, quella che gli permetterà di riporre il libro sullo scaffale senza che questo lo perseguiti ancora (ma in fondo, quale buon libro non continua a perseguitarci anche dopo averlo finito?!).
Ferito a morte lascia il lettore in un turbinio di domande, di dubbi, di interrogazioni. L'incipit, indimenticabile, perché possa essere compreso pienamente andrebbe riletto una volta arrivati all'ultima pagina, così, però, verrebbe meno quello stordimento di cui ho detto sopra: il lettore si sottrarrebbe volontariamente a quella sorpresa, a quella meraviglia irritata di chi non sta capendo, di chi fatica nella sua situazione attuale.
Il tema portante del romanzo è quello della Grande Occasione Mancata, a sua volta accompagnato da un corollario di questioni letterarie affatto secondarie: quella della iùbris che «dura sempre pochissimo»; quella della Natura che si fa giustizia da sé contro la Storia; quella di una Napoli-città amata e odiata che «ferisce a morte o addormenta»; quella della Giovinezza per sempre perduta e mai più recuperata.
E' la consapevolezza della provvisorietà di tutte le cose del mondo ciò che accomuna i diversissimi lettori di questo romanzo: tutti, una volta o più di una volta nella vita, abbiamo preso coscienza in maniera disperata della perdita che è alla base delle nostre esperienze, tutte, per forza di cose, sempre calate nel flusso temporale.
Con un linguaggio leggero e superficialmente divino (gli amanti e lettori di Nietzsche capiranno!), La Capria ci restituisce tutto il misero splendore della finitezza umana, nostro fardello e tormento, nostro primo motivo di turbamento e inquietudine, ma anche e soprattutto nostra grande ricchezza e risorsa.
Io penso questo: ha davvero valore e si distingue solo ciò che finisce, solo ciò che a un inizio fa seguire una fine.
Nell'eternità, in fondo, non c'è che indifferenza.
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